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La moglie dello scrittore

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Messaggio Da Dolcestella Mar Apr 08, 2008 3:34 pm

Era una donna stinta, dal passo furtivo. Le piaceva allineare i propri gesti, nell’arco della giornata, secondo un ordine ben preciso, anche se non sempre lo stesso. Quando il marito usciva per andare al lavoro, alle otto in punto del mattino, Ida si sedeva davanti al tavolo della cucina, ricoperto di marmo bianco con venature grigie – cinque minuti, non di più, il tempo che ci voleva per la sua programmazione.
Staccava due fogli giallini da un blocnotes in forma di cubo: sul primo scriveva, a caratteri grandi ed arrotondati, tutto ciò che mancava nella dispensa e nel frigo, e che doveva acquistare in mattinata; il secondo foglietto era per le faccende domestiche e le bollette da pagare. Qui segnava anche “il suo momento speciale”, con un rapido svolazzo della penna.
Quando aveva finito, si alzava svelta e prendeva la scopa.
E, mentre le sue mani passavano dal pavimento alle lenzuola, dalla lavatrice alle cipolle, dai panni da spolvero alle spugne del lavabo, la mente era altrove. Poteva ondeggiare piacevolmente sulle ali di una vecchia canzonetta o tra i versi di una poesia, imparata a memoria in terza elementare; riascoltare le quattro chiacchiere scambiate con una vicina, o ideare una nuova ricetta per una torta di fragole.
A volte, riviveva un ricordo d’infanzia – lo rivedeva come se fosse la scena di un film. Così, senza un motivo preciso. Oppure guardava se stessa indossare lentamente il lungo abito da sposa.
Le immagini volavano via, senza lasciare traccia.
I pensieri più intensi erano quelli che prefiguravano il suo quarto d’ora speciale, segnato ogni mattina nel secondo foglietto giallo: il suo momento magico, il suo spazio libero per sfogare piccole voglie pazze, desideri semplici o strambi, diversi. Soprattutto, sempre diversi.
Alle dodici e trenta, Ida aveva finito l’abituale giro di negozi e la visita al supermercato. Mentalmente, chiudeva la prima pagina del giorno, e si preparava alla seconda.
Un suono di campanello, breve ma imperativo, annunciava il ritorno del professor Ovidio Dorazio.
La moglie lo chiamava (anzi, lo pensava perfino) con il cognome, per un’abitudine che non riusciva a cambiare dai tempi del fidanzamento. Gli andava incontro con un sorriso simile a un punto di domanda, e, da quel momento in poi, ogni sua attenzione era rivolta al marito.
Il suo quarto d’ora speciale del mattino era lontano, come se non fosse mai esistito.
Le ore del pomeriggio trascorrevano lente, tranquille, adombrate da tendaggi pesanti e suoni di pendola. Il professor Dorazio preparava accuratamente le lezioni per il giorno successivo, armeggiando tra libri di testo e vocabolari; Ida lavorava a maglia, ricamava graziosi centrini a punto croce, e dopo le sei si alzava per completare la cottura della cena.
Talvolta, il professore usciva: - Vado a fare il topo di biblioteca! – diceva alla moglie. Talvolta – molto raramente, a dire il vero – Ida era colta da inspiegabili attimi di malinconia.
C’erano dei momenti sospesi in un silenzio verde-torbido. Ida guardava i pesci dell’acquario, e ragionava tra sé: ma chi sono io, in realtà? Sono una donna sottotono, moglie volonterosa, cuoca mediocre, o sono una piccola cosa pazza, che canta con voce squillante, ascolta la radio e si scatena in balletti assurdi?
Seduta accanto a Dorazio, si vergognava perfino di pensare al suo quarto d’ora. No, non poteva essere lì la sua natura femminile autentica. Quello era solo un piccolo vizio, da tenere accuratamente nascosto. Mentre sferruzzava i suoi interminabili maglioni, Ida sbirciava di tanto in tanto l’assorto e spesso accigliato marito.

Il professor Dorazio era un uomo corpulento. Non si poteva definirlo grasso perché era molto alto e si teneva costantemente eretto. Era difficile capire se il suo sguardo fosse triste oppure severo. Aveva folte sopracciglia nere, mentre i capelli tendevano ormai al pepe e sale.
A scuola, nessuno si permetteva mai di prenderlo in giro. Era passato agli annali della storia l’unico allievo, che - incosciente! - aveva osato imitare lo sguardo di Dorazio, mentre – gli occhiali da miope abbassati verso la punta dell’autorevole naso - osservava alternativamente il registro e gli alunni, sprofondati quasi sotto i banchi. Aveva dovuto pagare cara la sua audacia, torchiato dal professore con implacabile regolarità per mesi, finché aveva deciso di ritirarsi dall’istituto.
Tutto si era svolto, da un punto di vista esteriore, nell’ambito della più pura legalità. Nessun appiglio a ricorsi o proteste, per carità! Dorazio non era uno sprovveduto.
Qualche giovane collega metteva talvolta in dubbio, con cauti giri di frase, la modernità e l’efficacia dei suoi metodi. Il discorso cadeva nel vuoto, inesorabilmente. Non c’è che dire, il professore effondeva intorno a sé un’aura di prestigio e intoccabilità, anche se i veri motivi non erano chiari a nessuno. Su un unico punto, tutti erano d’accordo: era una persona imparziale, trattava tutti con la stessa unità di misura – assai parca, del resto.
Ida lo adorava, per questo suo modo di essere scostante. Lo aveva sempre ritenuto un essere intellettualmente superiore, e si riteneva fortunata per averlo sposato: da giovane, era consapevole di non essere brutta, anzi, ma la sua famiglia era modesta, e lei era riuscita a stento a superare il biennio dopo la scuola media.
Non avevano avuto figli, ma Ida aveva compensato questa mancanza riversando sul marito tutto il suo senso materno; quanto al professore, era difficile penetrare in lui. Si era sempre comportato in modo estremamente distaccato nei confronti di suoi allievi. Mai una sfumatura di cordialità, non parliamo poi simpatia o coinvolgimento nei loro problemi! Avrebbe voluto dire mettersi sul loro piano. I ragazzi, a scuola, hanno bisogno di una mano autorevole, mai confondere i ruoli!

Questa era la teoria di Ovidio Dorazio. La moglie dello scrittore 373845
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Messaggio Da Dolcestella Sab Apr 12, 2008 4:39 pm

Il professor Dorazio era un uomo corpulento. Non si poteva definirlo grasso perché era molto alto e si teneva costantemente eretto. Era difficile capire se il suo sguardo fosse triste oppure severo. Aveva folte sopracciglia nere, mentre i capelli tendevano ormai al pepe e sale.
A scuola, nessuno si permetteva mai di prenderlo in giro. Era passato agli annali della storia l’unico allievo, che - incosciente! - aveva osato imitare lo sguardo di Dorazio, mentre – gli occhiali da miope abbassati verso la punta dell’autorevole naso - osservava alternativamente il registro e gli alunni, sprofondati quasi sotto i banchi. Aveva dovuto pagare cara la sua audacia, torchiato dal professore con implacabile regolarità per mesi, finché aveva deciso di ritirarsi dall’istituto.
Tutto si era svolto, da un punto di vista esteriore, nell’ambito della più pura legalità. Nessun appiglio a ricorsi o proteste, per carità! Dorazio non era uno sprovveduto.
Qualche giovane collega metteva talvolta in dubbio, con cauti giri di frase, la modernità e l’efficacia dei suoi metodi. Il discorso cadeva nel vuoto, inesorabilmente. Non c’è che dire, il professore effondeva intorno a sé un’aura di prestigio e intoccabilità, anche se i veri motivi non erano chiari a nessuno. Su un unico punto, tutti erano d’accordo: era una persona imparziale, trattava tutti con la stessa unità di misura – assai parca, del resto.
Ida lo adorava, per questo suo modo di essere scostante. Lo aveva sempre ritenuto un essere intellettualmente superiore, e si riteneva fortunata per averlo sposato: da giovane, era consapevole di non essere brutta, anzi, ma la sua famiglia era modesta, e lei era riuscita a stento a superare il biennio dopo la scuola media.
Non avevano avuto figli, ma Ida aveva compensato questa mancanza riversando sul marito tutto il suo senso materno; quanto al professore, era difficile penetrare in lui. Si era sempre comportato in modo estremamente distaccato nei confronti di suoi allievi. Mai una sfumatura di cordialità, non parliamo poi simpatia o coinvolgimento nei loro problemi! Avrebbe voluto dire mettersi sul loro piano. I ragazzi, a scuola, hanno bisogno di una mano autorevole, mai confondere i ruoli!
Questa era la teoria di Ovidio Dorazio.

E giunse il momento della pensione. Nell’aula degli insegnanti, una sobria cerimonia assegnò all’emerito professore una medaglia – ricordo, e chiuse a doppia mandata un capitolo della sua vita.
Anzi, delle loro vite. Perché, all’inizio, la più sconvolta dal cambiamento fu la silenziosa Ida.
La cerimonia mattutina del foglietto, che si era protratta immutata per vent’anni e più, aveva cambiato sapore: la donna avvertiva intensamente, in ogni sua cellula, la presenza del marito in soggiorno, continuava a visualizzarlo mentre leggeva un libro oppure il giornale. Si sentiva in colpa, perfino, ma che cosa poteva farci, lei, se avvertiva come estranea, durante le ore del mattino, la sua imponente, cupa figura, tanto amata nel pomeriggio?
Non parliamo, poi, del suo quarto d’ora di follia personale! Come avrebbe potuto mettersi a cantare, accendere la radio all’improvviso, accennare i passi di un balletto? Non riusciva neppure a pensarlo.
Ida divenne più pallida. Scivolava furtiva da una stanza all’altra, con uno straccio in mano, oppure un piumino color arcobaleno, timorosa di disturbare, inquieta fino al limite dell’impazienza, lei che aveva sempre avuto un carattere così mite e tranquillo.
Fu un periodo di grandi silenzi. Non avevano mai dialogato molto, del resto. Cominciarono ad uscire più spesso insieme. Dorazio non rinunciava mai alla sua cravatta; di Ida, non si poteva dire che avesse il dono dell’eleganza. Il loro abbigliamento era cambiato pochissimo attraverso gli anni; perfino le varianti stagionali, minime, erano dettate esclusivamente dalla funzionalità.
Visitavano mostre d’arte, ascoltavano lunghe conferenze; vivevano in una tipica città italiana di provincia, sonnolenta ma non priva di occasioni culturali.
Il professore in pensione osservava tutto con interesse grave, forniva dettagliate spiegazioni sulla tecnica dei quadri e sulle tendenze letterarie degli autori; la moglie guardava, ascoltava, tentava di rispondere al marito. Si annoiava, spesso.
Talvolta, un acquerello, una poesia recitata, un argomento un po’ particolare di una conferenza, aprivano nel suo animo improvvisi abbagli di luminoso interesse. Soprattutto le mostre di quadri e fotografie la facevano sognare ad occhi spalancati; quando tornavano a casa, rubava qualche minuto ala preparazione della cena per buttare giù brevi appunti, impressioni, immagini sotto forma di parole. Una mattina, Ida scoprì con gioia che i suoi quarti d’ora speciali erano tornati.
Ciò che poteva e voleva fare ora, con slancio entusiasta, era trasformare in poesie gli appunti del giorno prima. Inaugurò un quaderno con i fogli trattenuti da una grossa spirale bianca, ed una copertina rigida e lustra, a fiorami azzurri.
Una delle sue prime opere, che rilesse più volte in seguito perché – doveva riconoscerlo, le piaceva – era questa:

Poesia, gioco facile, collana
di sorrisi, di lacrime e parole!
Io ti cerco e ti trovo:
tu sei mia.
Mi fai piangere, a volte, poesia.
Vieni fuori da un niente, una ferita:
non sapevo di averla,
tu la curi.

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Messaggio Da Dolcestella Ven Apr 18, 2008 8:30 am

Contemporaneamente, Dorazio cominciò a soffrire d’insonnia. In qualche modo, il lavoro gli mancava, le nuove abitudini non avevano occupato tutto lo spazio vitale dell’antica; qualcosa di vagamente sgradevole gli incrinava il sonno, i minuti si trasformavano in un’attesa, nera, insopportabile. Allora, che fossero le due o le tre della notte, buttava giù le coperte di slancio, si alzava quant’era lungo, si stirava le braccia, si vestiva, e se ne andava a leggere in soggiorno.
Ida, pur preoccupata, taceva, intuendo che il marito non voleva affrontare con lei l’argomento.
Un vago brivido la percorreva figurandoselo come un fantasma inquieto, con un giornale in mano al posto delle catene o del teschio.
A questo punto, non riusciva più a dormire neanche lei, ma non osava alzarsi.
Una notte che non ne poteva proprio più, andò in cucina a prendersi un bicchier d’acqua con dentro qualche goccia di valeriana, e fece una scoperta sconcertante.
Il marito non stava affatto leggendo, seduto sull’ampio divano di pelle nera, ma scriveva: scriveva sopra una risma di fogli appoggiati sulle ginocchia, e scriveva con una normalissima penna biro, che però sembrava indiavolata per la velocità quasi soprannaturale con cui la faceva scorrere sulla pagina. Le lettere scure divoravano a vista d’occhio il biancore della carta.
Ida rimase immobile sulla porta per un periodo che le sembrò lunghissimo, ma Dorazio non sembrò accorgersi della sua presenza. Scriveva, scriveva.
Ida si riscosse, e tornò a letto.

Da quella notte, nulla fu più come prima. All’ora di pranzo, dopo aver guardato il telegiornale con aria assente, Dorazio si alzò di scatto, spense il televisore ed annunciò solennemente alla moglie che stava componendo “il romanzo della sua vita”. Adesso o mai più. Avrebbe scritto giorno e notte, fino a completarlo, prendendosi i necessari intervalli di sonno e di cibo secondo le esigenze che gli avrebbe dettato l’ispirazione.
Prese le mani un po’ ruvide della moglie tra le sue, grandi e ben curate – gesto che non compiva da tempo immemorabile. Guardandola negli occhi, le disse: - Ida, se non te la senti di seguirmi in questa “folle corsa”, posso capirti. Hai bisogno di mangiare e di dormire come tutte le persone normali, di fare la tua vita. Non voglio che ti sacrifichi per me. Vai da tua sorella, per qualche tempo. Io mi arrangerò. –
Ida ebbe un tuffo al cuore. No, lei non avrebbe mai lasciato il suo uomo, non in un momento simile.
- Voglio restare con te. – disse, stringendosi a lui. Le sue guance, abitualmente pallide, si erano d’un tratto soffuse come di una cipria color fragola..
- Ti seguirò fino in fondo! Con il mio aiuto, potrai creare meglio!
Diventerai famoso, lo sento! –
Il professore scosse una mano con noncuranza, come a dire: sciocchezze! Io sono superiore a queste futilità! Ma Ida capì che era felice.
Sentiva, per la prima volta in vita sua (no…per la seconda, la prima era stata durante la cerimonia delle nozze), che i loro cuori battevano all’unisono.

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Messaggio Da Dolcestella Dom Apr 20, 2008 4:08 pm

E cominciò un periodo esaltante, anche se faticosissimo. L’appartamento era pervaso, giorno e notte, da una costante luce diffusa, non troppo chiara né troppo forte, per non affaticare la vista dello scrittore. Tende abbassate, pulizie svolte in fretta, con il minimo rumore possibile. Erano sempre pronti spuntini appetitosi, ma leggeri da digerire. Bevande vitaminiche, piccoli dolci. Frutta e cioccolata. Ida usciva il minimo indispensabile, per essere sempre pronta a soddisfare eventuali esigenze impreviste dello scrittore.
Il quale, per l’appunto, scriveva, scriveva, scriveva.
Di tanto in tanto, sostituiva la penna biro, esaurita. Di tanto in tanto, rimaneva con la penna sospesa in aria, per rileggere una frase, o alzava gli occhi al soffitto, pensieroso.
Un gesto che, se colto da Ida, la faceva quasi andare in estasi.
Dorazio non dormiva più nel suo letto, ma sull’ampio divano di pelle, dove aveva sempre pronto un cuscino ed un plaid. Non dormiva mai più di due o tre ore consecutive, e la moglie cominciò a sospettare molto presto che lui non sapesse più se era giorno o notte. Del resto, che importanza poteva avere? Ida apriva la finestra e faceva entrare l’aria fresca, quando il marito usciva dalla stanza. Lo faceva quando non ne poteva più di pensare e di scrivere. Ma, anche allora, gli bastava una bella doccia per tornare vispo come un grillo.
Ida aveva cercato, dapprima, di adeguare i suoi ritmi di sonno e veglia con quelli del marito; dopo qualche giorno, riuscendovi solo parzialmente, anche a causa della loro irregolarità, vi rinunciò del tutto, e finì per restare una settimana intera in uno stato di dormiveglia continuo. Si riscuoteva all’improvviso, correva in cucina a preparare un caffè per lo scrittore, gli porgeva la tazzina e poi crollava di colpo addormentata sopra una poltrona. Aveva delle visioni ad occhi aperti, che volteggiavano tra i mobili scuri del soggiorno: vedeva una bambina con le trecce bionde dondolarsi in altalena, si spingeva forte, sempre più forte…la vedeva finire contro il cristallo di una vetrina, poi riappariva in una cornice d’argento.
Intanto, Dorazio scriveva, scriveva. Di tanto in tanto, buttava giù macchinalmente il cibo che trovava a portata di mano: panini, merendine, Ida non usciva più per fare la spesa, non aveva più la forza per cucinare.

Alla fine di quell’interminabile periodo di allucinazioni e sopori, crollarono ambedue in un sonno profondo, che durò più di quaranta ore quasi ininterrotte. Quando si svegliarono definitivamente, Ida spalancò le finestre (era mattino inoltrato) e lo scrittore fece una lunghissima doccia, prima bollente e poi fredda. Uscì dal bagno allegro come un galletto, fregandosi le mani per la contentezza. Fecero colazione insieme con abbondante caffè nerissimo, chiacchierando del più e del meno come niente fosse. Poi, Dorazio si alzò solennemente, annunciando che il suo romanzo era in dirittura di arrivo. Si abbracciarono con trasporto.
- Ancora una settimana di scrittura, una quindicina di giorni per la revisione, ed è fatta! Se ti senti di aiutarmi, potresti battere a macchina qualche pagina sotto dettatura, quando sarò stanco. Poi, lo spedirò alla Casa Editrice! So già quale, ho le mie conoscenze. –
Ida si mostrò entusiasta.
Per farla breve, le settimane successive trascorsero con ritmi meno febbrili: sonno e veglia tornarono ad alternarsi in modo quasi naturale, i coniugi Dorazio tornarono a mangiare come esseri umani, e lo scrittore portò a termine la sua ardua impresa.
L’unico fatto notevole di questo periodo fu che Ida, ristorata dalla possibilità di dormire più regolarmente, ma al contempo eccitatissima per quanto stava accadendo, riaprì il suo quaderno azzurro.
Adesso, scriveva anche lei. Poesie, naturalmente. Una al giorno, a volte due o tre. Non erano più le semplici strofe che componeva in passato, bensì qualcosa di molto diverso.
Le zampillavano dalla mente immagini brillanti e surreali: formavano figure ambigue e complesse, cariche di simbolismi, si componevano in versi irregolari ma armoniosi.
Ida era stupita di questo sbocciare: un fuoco sconosciuto stava bruciando quanto di sterile e rassegnato era nel suo intimo. Era proprio sbalordita: come era possibile che uscisse da lei, che in vita sua aveva ben poco letto e studiato, questa musica in parole? Certo, doveva essere merito del marito, che le aveva infuso con pazienza una piccola parte della sua cultura.
Ida rileggeva i versi, appena nati dalla sua penna. Leggeva sussurrando appena, a fior di labbra: no, quei versi non somigliavano neanche lontanamente a Dorazio, quelle poesie erano sue, erano fatte della sua sostanza più intima e vera! Anche quando sembravano rincorrere assurde fantasie, quelle parole erano lei, e lei era in quelle parole. C’era un’unica perplessità, a questo punto: come poteva essere, questo, se il più delle volte le sembrava di scrivere sotto dettatura, per un impulso che le veniva chissà da dove? Comunque stessero le cose, Ida era felice, molto felice.
Dorazio non si accorse di nulla, e la moglie tenne per sé questo segreto.

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Messaggio Da Dolcestella Mer Apr 23, 2008 8:19 am

E venne il grande momento.

Aprile. Le rondini stridono, l’aria è tiepida. Ida può vederle sfrecciare nel rettangolo chiaro della finestra spalancata. Il cielo è color azzurro pallido verso l’alto; i tetti sono scuri, con un alone di luce incandescente tutto intorno. Ida ascolta il suono festoso di parole e di versi in forma nascente, che fanno le capriole dentro di lei. Tiene un cucchiaio di legno nella mano destra, e con la sinistra sposta la pentola con il sugo di pomodoro, perché non si addensi troppo sul fuoco. Insegue le parole e i versi, per un po’. Ma si ostinano a sfuggirle. Beh, pensa, li acchiapperò un’altra volta.
Adesso, le sfumature rosate del cielo si sono trasformate in uno splendore rovente.
Ida si gira, e vede il marito, appoggiato allo stipite della porta, che le sorride.
- Il mio lavoro è finito, le dice, posso leggerti il mio romanzo in anteprima, dopo cena se vuoi! –
Ida non riesce a parlare. Appoggia il cucchiaio di legno sul bordo della pentola, e si avvicina al marito. Stanno a guardarsi negli occhi a lungo, prima di stringersi l’uno all’altra.

Cenano in silenzio sotto il cono di luce della lampada, appesa sul tavolo della cucina. La pastasciutta con il sugo profuma di basilico, Ida ha apparecchiato con una tovaglia a rustici quadrati bianchi e rossi, i bicchieri sono di vetro blu.
Nel cortile del condominio, i pipistrelli hanno ormai sostituito le rondini.
Dorazio finisce il suo vino. – Andiamo di là. Ma quando sei stanca devi dirmelo, d’accordo? Finiremo domani. –
Ida si siede nella sua poltroncina preferita, si acciambella, quasi, nella morbidezza dei cuscini.
Sorride con una specie di timidezza, segue con gli occhi il marito scrittore che sta raccogliendo le risme di fogli. Ha spostato la lampada a stelo dietro il divano nero, il suo divano di pelle dove ha passato così tanto tempo: a scrivere, mangiare, dormire, e scrivere ancora.
E adesso può finalmente sedersi con un profondo sospiro, e leggere il suo romanzo.
Ha una bella voce, baritonale, profonda, ben impostata; legge senza monotonia, senza incertezze.
Solo un breve attimo di sospensione, quando c’è una frase cancellata con un tratto di penna, e riscritta in modo confuso.
Ida lo segue con occhi brillanti, il mento sulla mano, un ciuffo di capelli sulla fronte aggrottata per l’attenzione. Guarda le labbra del marito, e vede…

L’antico tappeto Boukara ai suoi piedi ora è un prato, i disegni “a zampa d’elefante” impronte di passi veloci, che si rincorrono…un mondo solare, simile a un quadro di Monet, prende vita nella stanza notturna, gruppi di giovani con abiti leggeri passeggiano, siedono sotto ombrelli di ippocastani, tra luce e ombra, parlano, ridono…Ida riconosce, sotto spoglie fantastiche ma non troppo, il suo incontro con Ovidio, studente di belle speranze e di buona famiglia. Ida faceva, allora, la cameriera in un bar, in una località termale. Ora si rivede al braccio del futuro marito, tutta orgogliosa di essere la prescelta, un po’ sperduta alle feste con gli amici di Dorazio (nel romanzo, Renato); quasi in angoscia nel palazzo dei genitori, sontuoso di marmi, le pareti completamente ricoperte da quadri d’autore. La gaffe è in agguato ad ogni angolo della conversazione.
Il romanzo prosegue tra dotte disquisizioni letterarie e politiche tra Renato e i suoi amici (qui Ida perde il filo, e torna nel suo divano, con i piedi sul tappeto), e complicate vicende di gelosie e invidie tra parenti, con diseredazione del primogenito, dopo il suo matrimonio disapprovato dal padre (le orecchie di Ida tornano a drizzarsi, la sua attenzione è al culmine).
I fatti, nella realtà, erano stati assai meno romantici, ma qualcosa di vero c’era.
I genitori di Ovidio avrebbero voluto davvero, per il figlio, una moglie ed una carriera più adeguati, secondo il loro punto di vista; qualche contrasto e qualche scena sgradevole c’era stata, in compenso non avevano un gran patrimonio da cui diseredarlo. I quadri d’autore erano in tutto un paio di litografie.
Ascoltando, la moglie dello scrittore rivive con nostalgia un momento così prezioso della sua vita. Ricorda come lo avesse supplicato di attendere: avrebbe voluto prepararsi meglio per la sua futura missione di moglie, imparare tante cose, magari anche riprendere gli studi per essere alla sua altezza. Ma non c’era stato niente da fare. Lui la voleva così com’era, semplice e schietta…la amava così. Come in una favola…e quando mai era rimasta delusa?
Quanto è bravo ora, Dorazio, pensa Ida, a dipingere queste scene del passato con tanta vivezza, come se stessero accadendo sotto i suoi occhi! Si può togliere addirittura il “come se”. Se abbassa le palpebre, vede ancor meglio ogni cosa: persone, palazzi, treni, giardini, spiagge…tutto si muove come in un film, e lei si sente tranquilla e colma di gratitudine.
Lo scrittore, intanto, continua la sua lettura; solleva appena le folte sopracciglia scure dal foglio, che ha appena finito di leggere, lo depone accanto a sé, sul divano di pelle nera, e già un altro foglio è pronto. Legge con tono chiaro ed espressivo. Non sembra affatto stanco.

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Messaggio Da Dolcestella Ven Apr 25, 2008 4:32 pm

Un gruppo schiamazzante di bambini (Ovidio e i suoi fratelli) si butta in corsa sfrenata giù per un pendio erboso. Il sole di agosto picchia, in pieno mezzogiorno. C’è un profumo di erba spagna appena tagliata, buonissimo. I bambini cominciano a rotolarsi come pupazzi, si lasciano andare nelle cunette e negli avallamenti, e arriva primo chi si getta a corpo morto. Un contadino sbuca oltre la palizzata, urlando: come si permettono di calpestargli l’erba? Agita minaccioso un forcone…bisogna rialzarsi, e scappare…Ida sorride con il suo cuore di madre mancata. Ma la mente, sovraccarica d’immagini, comincia a confondere i tempi e i luoghi…i colori sbiadiscono, la voce narrante diventa un semplice brusio.

La sirena di un’ambulanza lacera il sordo mormorio del traffico notturno, ridotto a un suono udibile appena. Sono le due. Tutto ciò che esiste, fuori, sembra tanto lontano. Lo scrittore si toglie gli occhiali, preme la punta delle dita sulle palpebre abbassate, le massaggia con gesto circolare.
Ida è scivolata lungo la poltrona, la testa abbandonata sulla spalla destra, come una vecchia bambola sdrucita. La pendola sembra essersi fermata.
Ovidio si alza, in cucina fa scorrere a lungo l’acqua dal rubinetto per riempirsi un bicchiere.
Quando torna nel soggiorno, il suo sguardo percorre il corpo della moglie, immobile nella penombra; attraverso gli occhiali, un lampo strano, in bilico tra l’ironia e la pietà, sembra sfiorarla, dai capelli appena un po’ sbiancati fino alla punta delle pantofole. Chissà perché, la sua attenzione si concentra sul grembiule azzurro, osserva una piccola macchia rossa. Che importanza può avere, una piccola macchia? Ovidio percepisce chiaramente che Ida non è in uno stadio di sonno profondo, lo sente da come respira.
E riprende la sua lettura, ma con un tono di voce diverso. Dalla sua bocca escono suoni leggeri, smorzati, privi di profondità: un sussurro, quasi. Le parole si infiltrano sotto la crosta dei fatti, gli oggetti sembrano stagliati in un materiale diverso, surreale…i personaggi, cuciti in una pelle non del tutto umana. O troppo umana, forse.
E la moglie ascolta. Il suo orecchio sente, la sua mente registra. Non apre gli occhi, quasi fosse sotto l’influsso di un sortilegio, ma le sue antenne avvertono subito che, nel racconto, c’è stata una trasformazione profonda. La voce sussurrata evoca una serie di visioni, dapprima incerte: nel suo stato simile a un dormiveglia, Ida assiste alla graduale formazione di un mondo a due piani sovrapposti, che non comunicano tra loro. Vede formarsi la loro assurda coesistenza, la vede evolversi, consolidarsi.
Nel piano superiore, il marito saluta la moglie, parla, legge un libro, compera il giornale e le paste, si annoda la cravatta. Il professore entra nell’aula, apre e chiude il registro, espone la sua autorevole concezione del mondo e della storia, impone il silenzio con un’occhiata. Questa è una vita che Ida conosce molto bene, anche se improvvisamente le sembra diversa.
Ma il piano inferiore è un mondo sconosciuto: qui, non ci sono mogli né alunne. Ovidio ha un altro sguardo, sembra nudo anche quando è vestito. Recita solo poesie d’amore; ride, scherza e sembra proprio divertirsi. Ci sono alcune ragazze, che vanno e vengono. Sono cariche di anellini, collane, fanno piccoli passi o corse sgangherate. Hanno abiti strani, che si sfaldano all’improvviso sotto gli occhi di Renato-Ovidio. Ce n’è una in particolare, poco più che una bambina, con seni appena accennati, capelli di lino e ciglia bionde. Sembra un folletto dei boschi.
Mentre il marito continua a leggere, Ida sente il piano superiore perdere un po’ alla volta la sua consistenza; il piano inferiore si nutre di ogni succo vitale a sua disposizione, cresce e fa sbiadire tutti gli spazi esterni, diventa un turbinoso concentrato di gesti e di colori, di passioni soprattutto.
La fanciulla-elfo vive in una grande villa con colonne di marmo, circondata da un parco all’italiana. E’ una villa storica, e non si deve toccare nulla. Ci sono gli alani neri che si affacciano al muro e spaventano i visitatori, e gabbie con pavoni. La fanciulla dai capelli di lino è molto ricca, studia privatamente. E’ anche molto sola, nella grande villa, e conduce il professore per mano a visitare tutte le stanze: quelle con i mobili, i quadri e la tappezzeria, e quelle vuote, dove i loro passi risuonano sotto mitologici soffitti scrostati. Nella lunga fuga prospettica, porta dopo porta, tra calcinacci ed echi distorti, Ida può vedere tutto: i gesti delle mani, la dolcezza delle parole. Vede tutto, adesso, nella stanza notturna; si sorprende a pensare che, mentre i fatti accadevano, viveva nel piano superiore, e non poteva vedere nulla.
Ma sono realmente accaduti? La donna si sente come in un blocco di ghiaccio trasparente. Nessuno può sentirla. Eppure, c’è un’attrazione suadente, invincibile, nella scena che le scorre davanti: i due personaggi sono sbiancati come statue viventi, s’inseguono e si raggiungono, si lasciano e ritrovano…ma il satiro non vuole, in realtà, raggiungere la sua ninfa, non vuole sporcare le sue membra candide con le dita rapaci. L’ideale rimane intatto.
La fanciulla dai capelli di lino scompare, inghiottita da un collegio svizzero. Ma…dietro una porta in legno dipinto, si materializza un’altra figura. Un corpo di donna matura, greve, dallo splendore inquinato; il professore non teme più di sciupare un ideale, e affonda beatamente in questa realtà, dai carnali effluvi. E’ la madre della ninfa: oceano di esperienza, nave traghetto verso altre, più complesse e contorte esperienze.

Nel soggiorno dai mobili austeri, Ida è circondata. Le presenze del piano inferiore hanno invaso tutto lo spazio intorno a lei, si agitano avvinghiate a due a due, si sovrappongono nude o semivestite, formano grappoli semoventi, figure maschili e femminili come lingue di fuoco, intrecciate, incastrate, scivolose le une sulle altre…e tutte insieme la stringono sempre più da vicino, e urlano, anche se le voci non sembrano uscire dalle loro bocche: “Ida…Ida…ma chi sei tu, Ida? Sei un nulla che crede di esistere! Hai creduto di amare e di essere amata? Ma tu non sei nulla, Ida. Tu non esisti. Noi sì che esistiamo, non vedi? Noi siamo, perché siamo stati. E tu non sei, ora, perché non sei mai stata!”
La donna si rannicchia nella sua poltrona, fino ad assumere una posizione fetale. Stringe, stringe forte il capo tra le braccia. Ma come, io non sono?
Dorazio, che cosa hai fatto! Che cosa hai scritto, marito mio…c’è come una spina, ficcata in mezzo alle mie costole!
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La moglie dello scrittore Empty 7 Punt...La moglie dello scrittore

Messaggio Da Dolcestella Sab Apr 26, 2008 8:07 am

Un foglio scivola dalle mani dello scrittore…lo riprende, ma le sue pause, dapprima brevi, si prolungano sempre più…finché sprofonda in un sonno senza sogni. Svuotato dalla fatica, momentaneamente libero da fantasmi, da ricordi, da parole.

E Ida vorrebbe piangere, ma non può. Troppo forte la sua incredulità, il suo rifiuto. Ciò che ha visto, non può essere, altrimenti tutta la sua vita sparisce, così com’era, come è ancora.
Torna una fitta lancinante, un groviglio allo stomaco, come una progressiva lacerazione dei suoi tessuti vitali. Fino a precipitare in una tenebra senza fondo, una stanchezza mortale.
Eppure, quando sente che non sopporta più tutto questo, Ida vede dentro di sé una piccola luce, come un nucleo informe ma vivo. Immersa in una specie di trance, ha la percezione di un essere germinale, nel suo intimo, simile al figlio che non ha mai avuto.
“Sarò madre per me stessa”, è il suo ultimo pensiero, prima di entrare in una nebulosa rossastra, fase iniziale del sonno.

Era il momento più silenzioso della notte, il momento più buio che precede di un soffio le luci dell’alba. La città era immobile. Il suo respiro, una vibrazione lontanissima.
La luna si lasciava coprire da nuvole sfatte, poi stracciava la garza farinosa con la sua luce, simile ad un punteruolo da ghiaccio.
Nel soggiorno dello scrittore, la lampada a stelo si fece più luminosa, senza alcun preavviso.
Puff! e tutto annerò.

Adesso il mattino lattiginoso scivola sotto le fessure delle persiane, avanza sul pavimento come una pozza d’acqua. Ida muove le braccia e le gambe. Torna a rannicchiarsi per un po’, infine si stende tutta, prende lo slancio per alzarsi, e rimane immobile davanti alla poltrona.
Stupita, incredula figura in bianco e nero. Che ora sarà? È giorno, notte, estate, inverno?
I merli cantano, la loro voce modulata si espande come in uno spazio vuoto.
I rettangoli più chiari delle finestre attirano Ida. Riconosce la stanza, la sagoma scura del marito addormentato, ma che cosa ci facciano lì, loro due, la mattina presto – questo non riesce proprio a capirlo. Sospetta di essersi addormentata sulla poltrona – infatti, ha le membra rotte dalla stanchezza, e un ricordo forse di fatti strani, non tutti gradevoli, forse di sogni confusi.
Muove cauta qualche passo sul tappeto; un chiarore obliquo rivela blocchi di fogli sparsi dappertutto. Nella sua mente, un formicolio al rallentatore, una nebbia di sensazioni pesanti che non si sviluppano fino a divenire pensieri .
Un senso di crescente estraneità avvolge il divano, i libri, il pavimento, i fogli, il corpo stesso del marito addormentato, come se tutto fosse avvolto da una pellicola trasparente.
Per snebbiarsi la mente, Ida si fa una bella doccia. Lunga, con il getto dell’acqua diretto con forza sui capelli, sul viso, su tutto il corpo. Esce dal bagno ancora umida, avvolta in un ampio accappatoio bianco.
Sente sgocciolare i capelli, un rivoletto le scende, fresco e piacevole, lungo la schiena.
Solleva da terra un foglio, a caso; lo inclina sotto la luce della finestra. Legge:
“ Non stiamo discutendo di filosofia, caro Renato. La situazione politica attuale…”
Più sotto: “Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi te lo grido: o questo, o quello, aut-aut!” E ancora: “Costruiremo un mondo migliore…”
Ida scuote le spalle, perplessa. Rimette il foglio sul pavimento, ed entra in cucina.

Qui sì che si sta bene! Con la finestra aperta, si può aspirare l’odore del mattino, mettere la moka sul fornello e attendere il borbottio del caffè che sale. Si può preparare con calma la tazzina, la zuccheriera, il cucchiaino. E lasciare che pensieri nuovi fluiscano dalla mente ancora vuota.
Ida si strofina i capelli con un asciugamano, lo avvolge intorno alla testa come un turbante. Un sorriso quasi invisibile la fa sembrare più giovane, mentre guarda il getto filiforme del caffè scendere, lucido e nero, dal beccuccio della moka.
Ascolta una voce interiore, forse? Sì, tra i ricordi qualcosa affiora.
Senza fretta ma con decisione, la donna esplora la cucina, prima con sguardi circolari, poi spostandosi a piccoli passi qua e là. Le sue mani sfiorano distrattamente i blocchi di foglietti, una pentola, la scatola del cucito…come per un’ispirazione improvvisa, apre un cassetto, trova un quaderno con la copertina lucida, azzurra. Il viso della donna sembra aprirsi come un fiore; sorridendo sfoglia lentamente le pagine, le accarezza quasi.
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La moglie dello scrittore Empty 8 ed ultima pun. La moglie dello scrittore

Messaggio Da Dolcestella Dom Apr 27, 2008 8:43 am

Le sue labbra si muovono sussurrando i versi, sì, i versi delle sue poesie!
Accosta al tavolo di marmo variegato una vecchia, robusta seggiola impagliata e siede, con i piedi nudi intrecciati.
Esita un attimo appena, succhiando pensierosa il cappuccio della biro.
Poi scrive:

Questo foglio mi chiama – bianca
finestra sul giorno che viene
ho spalancato le persiane
il cielo mi osserva con attenzione
sono volati sull’albero i miei sogni –
grappoli di foglie ed uccelli in allegra
conversazione…

Nel soggiorno, lo scrittore si sta risvegliando; muove un braccio, con uno strano formicolio, una sensazione di fatica. Cerca di sollevarsi dai cuscini, ma avverte un peso invincibile che gli inchioda sul divano tutta la parte destra del corpo.
Vorrebbe gridare: “Ida! Ida!”, ma si sente imprigionato, come in un blocco di ghiaccio nero.
Ida, dove sei andata?
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