Arcobaleno
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Messaggio Da Dolcestella Ven Mag 30, 2008 9:44 pm

Io: fisso, sul sedile di quella corriera, traghetto verso l'insicurezza; lì, quel montante: rompeva il ritmo regolare della vernice bianca sull'asfalto dell'autostrada per capire me stesso, unico sostegno di trasparenti parvenze nell'incertezza di quei momenti. Mi guardavano le montagne, e non volevano cambiare, con l'arroganza di chi sa di potere solo perché non lo puoi ignorare: il mio passato che incombeva. Il futuro, e impaziente lo cercavo nell'inutile oriente, non sorgeva là dietro.
In primo piano, tanto vicini, troppo vicini, pensieri volavano riflessi sul vetro della mia coscienza, aloni, velocissimi scorrevano, e incomprensibili: così, indefinito, il fascino per il guardrail. La sicurezza di un passato privo di preoccupazioni, privo di passato perché unico presente di bambino: irraggiungibile. Frapposti impedivano il raggiungimento di quelle vette i campi assetati dell'adolescenza, avidi di comprendere in loro il mondo attorno, loro nutrimento. Indecise, stradine si muovevano intrepide, tortuosi tormenti del crescere. La polvere, si solleva, illude che non esistano e lascia me che li vivo in un deserto di solinghi pensieri, a me che li rivivevo lasciava capire che non stavo riuscendo a tornare sui quei monti e che mai ci sarei riuscito, a risalire il passato. Devo farmene una ragione.. quel recinto mi separava dal verde del futuro: Oltrepassare! quel muro di nostalgia: oltrepassarlo, non soffrire.. Ma ignori il passato.
Quella strada umana mi riconduceva dove avevo lasciato il mio equilibrio: invano perché non guardavo quel paesaggio ero riuscito a farmi sopportare il tedio, a fatica il vuoto mi sembrava monotonia, la ripetizione ora sicurezza ora pienezza; appagato del vuoto non sarei potuto resistere senza evitare di guardare, di sentire, capire.
Mi vedevo, e quell'equilibrio: lontano, ora era materiale me stesso nell'agitarsi in cerca di essere felice, perso per quelle stradine polverose, istericamente tanto era mosso dal tormento di trovare fino a straniarsi, soffocato; non riusciva a respirare di quell'unico tutto che vedeva, che non poteva guardare.. non poteva vivere, moriva... si fermava.... non capiva: gli.. piaceva: cosa capisce, cosa mi piaceva, cosa non vivevo?
"Il passato — il mio lottare contro il mio per far vincere me — non ti piacere, ciò che hai fatto non é ciò che ti farà essere felice: ti ha fatto soffrire come gli altri notino quello che fai e non quello che sei, e si fissino su quel fatto senza vedere che è solo niente: quello che non fai è più fedele a te di ciò che è tuo solo perché ti é capitato di farlo. Fai quello che vuoi. Degli altri? fregatene!". "Basta!" autisticamente gli rispondeva quel me perso nell'adolescenza. Basta. Riusciva a isolarsi. Basta. Nulla gli rimaneva da fare. Se agiva qualcuno gli avrebbe risposto. Basta. Non avrebbe potuto non esserne coattamente spinto ad aprirsi. Basta. Pensava, e non faceva altro, del passato. Un passato in cui gli altri diventavano sé stesso. Il me stesso lottava con il mio. Basta. Continuamente sentiva quel Lottare ed esclusivamente. "Basta!" mi impongo io adesso a vedermi di non fermarmi nella nostalgia. "Agisci!": se l'intenzione in quello che fai è costantemente fraintesa, reagisci alla volontà altrui, fai ciò che ti farà apparire come appari a te stesso anche se non è ciò che vuoi fare, ma essere. Ciò che vuoi fallo, e lo farò: per me solo.
Bravo, mi ritrovo ora, con me stesso, non é cambiato nulla: sono sempre qua seduto, e guardo là fuori me stesso più perso di prima, per quelle stradine; sì, ora vedono pure loro con la memoria, la polvere gli fa vedere tutti quelle sue maschere uguali a loro, uguali a me, uguali a te, e non capiscono, non capisco. Perché le vette del passato ora sono sgombre dalle nubi e non ti pesano più sulla coscienza. Perché il sole ora nasconde queste strade polverose ma anche gocce scendono sul finestrino, spinte dalla velocità scorrono e segnano il vetro di diagonali che turbano la mia coscienza, non più trasparente: ho paura che il fango sporchi loro là fuori come me qua dentro. Riflessa sul vetro un'immagine: tutto mi nasconde affascinante per me, e indelebile.
Abbagliato dalla luce, mi accorgo del sole: sopra di me. Alle spalle il silenzio delle nubi che incombevano su una corriera, su un'autostrada senza altri, su campi aridi. Sono riuscito a non guardare al presente come futuro passato. Primo passo verso un nuovo futuro e verde come i prati che per la prima volta riuscivo a vedere oltre quei monti in vetta ai quali finalmente sono riuscito ad arrivare. L' eco di un urlo che non sono riuscito a contenere nelle mie viscere ritornava alle mie orecchie: "Amo".
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Dolcestella
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